Filiere in affanno

Filiere in affanno
Stato attuale e prospettive secondo Deles Academy

La ripresa passa dall’analisi dei dati

Pagina a cura DI ROXY TOMASICCHIO

La pandemia ha minato il funzionamento delle filiere italiane mettendo in crisi il funzionamento delle organizzazioni. Una conseguenza prevedibile: basti pensare che secondo stime precedenti alla crisi solo poco più del 50% delle aziende italiane aveva un sistema di monitoraggio dei rischi connessi alla supply chain. E quando li aveva, non erano sempre sistemi strutturati e completi: solo un’azienda su tre, per esempio, monitorava più dell’80% dei fornitori. Non sorprendono, quindi, effetti indesiderati quali: limitazione operativa dei network distributivi; interruzione delle filiere di approvvigionamento e produttive; indisponibilità di materie prime, semilavorati e prodotti finiti; carenza di manodopera diretta e indiretta; default dei fornitori e limitata capacità d’identificarne e qualificarne di nuovi. Ora, è d’obbligo correre ai ripari. In che modo? Il punto di partenza indispensabile per un efficace risk management è avere una visibilità in tempo reale della catena del valore, tramite programmi di data analytics che consentono di disporre immediatamente delle informazioni necessarie per prendere decisioni critiche (operative e strategiche). Per l’azienda vuol dire la capacità di estrarre i dati chiave dalla catena di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Questo lo scenario delineato a ItaliaOggi Sette da Virna Motta, Business Development Manager di Deles Academy, polo formativo di Deles Group, società specializzata nell’imballaggio e nelle soluzioni per la supply chain.

Proseguendo con la conta dei danni, «il 57% delle aziende ha avuto un significativo peggioramento dei tempi di consegna; il 62% delle aziende sta avendo ritardi nel ricevere ordini; mediamente, le aziende stanno lavorando al 50% della propria capacità produttiva con il 56% di presenza media del proprio staff; più del 44% delle aziende non ha piani in essere per la gestione della supply disruption, e il 23% di questi presenta rilevanti situazioni critiche lungo la propria catena del valore», aggiunge Motta citando dati dell’ISM (Institute for supply management).

Nei mesi scorsi le aziende più reattive hanno saputo correre ai ripari. E lo stesso faranno nei mesi a venire. Per esempio, hanno razionalizzato il proprio network, adeguando distribuzione e livelli di servizio alle nuove abitudini di acquisto; rimodulato acquisti, produzione e politiche d’inventario per evitare stock inutili/inutilizzati; attivato nuovi canali di vendita; adattato l’offerta alle nuove abitudini dei consumatori razionalizzando il proprio portafogli prodotti; attivato coperture finanziarie per l’acquisto di materie prime legate al prodotto e al packaging. «Nell’immediato futuro una quota (comunque ancora contenuta) di imprese, oltre a garantire le misure necessarie a ripartire in sicurezza, ha fra le priorità l’adozione o l’estensione delle forme di lavoro agile (misura pianificata dal 12,5% delle imprese, pari 140 mila imprese), lo sviluppo di servizi a domicilio (8%, 90 mila imprese) e lo sviluppo del commercio elettronico (6,3%, 70 mila imprese). Nella maggioranza dei casi, comunque, per fare fronte alla crisi nei prossimi sei mesi le imprese metteranno in campo azioni di reskilling del personale già presente in azienda, segno che fra le conseguenze immediate della pandemia Covid-19 vi sarà un’ulteriore accelerazione del processo di riconversione e rafforzamento delle competenze del capitale umano per favorire l’allineamento alle nuove forme organizzative del lavoro», spiega Motta commentandole cifre diffuse da Unioncamere-Anpal.

Tuttavia si è trattato spesso di interventi realizzati in emergenza. Passato il momento acuto della crisi, si valutano gli interventi per affrontare il futuro con maggiore sicurezza. Come ridisegnare la catena degli approvvigionamenti per limitare l’esposizione ai possibili rischi? Che cosa vuol dire, in termini operativi ed economici, applicare alla supply chain il risk management? A queste e altre domande cercherà di rispondere AperiChain 21 #MeetTheExpert. Otto incontri con i manager d’imprese multinazionali italiane che racconteranno le loro esperienze e si confronteranno sulle soluzioni da adottare nel nuovo scenario. Una iniziativa promossa da Politecnico di Milano, regione Lombardia e Deles Academy, in programma dal 30 aprile, che proseguirà con appuntamenti mensili fino a dicembre – https://www.delesacademy.com/aperichain/

Le risposte, ovviamente, sono diversificate in funzione dei settori di operatività e delle dimensioni. Ma è chiaro, ribadisce la manager di Deles Academy, «che, di qui in avanti, la conoscenza preventiva degli impatti di una possibile crisi sarà un nuovo vantaggio competitivo, come del resto dimostrano i benefici goduti dalle aziende che prima della pandemia avevano adottato una supply risk management». E per tale scopo, «il data analytics rappresenta il principale strumento di prevenzione e reazione. Essenziale, per un uso efficace, è saper scegliere i dati di input, le informazioni di supporto, i driver, le variabili e i modelli. È la capacità di selezione a fare la differenza: analizzare troppi dati limita le capacità decisionali anziché agevolarle». La maggioranza delle imprese italiane non dispone oggi di sistemi di questo tipo. «Adottare nella supply chain un sistema di data analytics end-to-end richiede tempo e risorse. Richiede, soprattutto, un cambiamento culturale dell’organizzazione. Certo è un cambiamento di cui potrebbero beneficiare (e molto) anche le Pmi», prosegue Motta precisando che «i dati in tempo reale, tuttavia, sono soltanto un supporto: introdurre, o perfezionare, un risk management della supply chain richiede una serie d’interventi strutturali. L’importante è avere una strategia».

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